L’emergenza epidemiologica da Covid-19 ha modificato il concetto di “sicurezza sul lavoro” ed equiparato l’infezione da Covid-19 contratta sul luogo di lavoro all’infortunio sul lavoro con causa virulenta con conseguente riconoscimento delle tutele INAIL a favore del lavoratore colpito da infortunio.
È proprio dall’introduzione di tale previsione normativa, contenuta all’art. 42 del Decreto “Cura Italia” (D. l. n .18/2020), che sorge il dubbio di un ampiamento delle responsabilità datoriali in ambito penale per inosservanza delle norme emergenziali poste a tutela dei lavoratori.
Ed infatti, l’art. 42 del Decreto “Cura Italia” dispone espressamente che il contagio da Covid-19 dev’essere trattato dal datore di lavoro, pubblico o privato che sia, come infortunio.
In sede poi di conversione in legge del “Decreto Liquidità” (D.l. n. 23/2020) è stato identificato, all’art. 29bis, l’obbligo di tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore, prevista dal codice civile ex art. 2087 a carico dei datori di lavoro, con riferimento proprio al rischio di contagio.
Parrebbe così che il datore di lavoro, anche qualora risulti aver applicato le prescrizioni dei protocolli di sicurezza per la tutela contro il contagio, non sia tutelato dal rischio di essere sottoposto al procedimento penale.
Tale circostanza trova apparente conferma nella circolare INAIL n. 13 del 20/05/2020 laddove si ribadisce l’indirizzo interpretativo secondo cui, l’ente tratta i casi di malattie infettive inquadrandole nella categoria degli infortuni sul lavoro con tutte le conseguenze che ne derivano.
Alla luce del quadro normativo richiamato e nel pieno rispetto del principio di tassatività, appare allora fondata l’ipotesi secondo cui il datore di lavoro incorre in responsabilità penali per contagio da Covid-19 occorso sul luogo di lavoro.
Ma, se tale responsabilità penale si profila con tanta facilità tra quelle disposte in materia di sicurezza sul lavoro, ben più difficile è raggiungere la prova di tale imputazione colposa.
Si tratterebbe infatti di dover dimostrare la sussistenza di stringenti presupporti quali ad esempio, la correlazione tra lo svolgimento dell’attività lavorativa ed il contagio da Covid, la sussistenza del nesso di causalità tra il comportamento omissivo del datore e l’evento contagioso ed ancora l’imputabilità dell’omissione a titolo di colpa, per altro specifica.
Tutto questo appare essere una probatio-diabolica.
Si può a ragione dire che tale imputazione sul fronte penale sarebbe solo “provvisoria” qualora il datore di lavoro adottasse preventivamente le fondamentali cautele in base alle prescrizioni indicate nei protocolli anti-contagio.
Così come per altro già avviene rispetto agli obblighi imposti dalla normativa applicabile in materia lavoristica e contenuti nel Testo Unico sulla Sicurezza sul Posto di Lavoro (D. L.vo 81/2008) e nel D.lvo 231/2011 (in ambito di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche).
In conclusione, se non è possibile in astratto scongiurare ogni rischio connaturato all’attività aziendale, è tuttavia possibile escludere che il concretizzarsi del rischio possa avere conseguenze di natura penale adottando preventivamente le cautele indicate nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali.