La Sentenza della Corte Costituzionale n. 22 del 22 febbraio 2024 rappresenta un importante sviluppo nel panorama interpretativo del c.d. Jobs Act, e quindi per i lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015, in quanto decisione ha ampliato la tutela reintegratoria, apportando significative modifiche che influenzeranno il quadro giurisprudenziale esistente. Questa decisione rende le regole sul licenziamento più protettive per i lavoratori, tuttavia riporta in auge una maggiore complessità interpretativa potenzialmente semplificata nel recente passato dal Jobs Act.
Il caso di specie
La Corte rimettente (Cassazione Sez. Lavoro) ha sollevato questione di legittimità costituzionale a fronte del ricorso avverso la sentenza di appello che, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, aveva dichiarato la nullità del licenziamento disciplinare/destituzione del dipendente, con mansioni di autista, per violazione degli artt. 53 e 54 dell’Allegato A, R.D. 148/1931 (Coordinamento delle norme sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi del lavoro con quelle sul trattamento giuridico-economico del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione interna in regime di concessione), e, previa dichiarazione di estinzione del rapporto di lavoro intercorso tra il ricorrente e una società esercente il servizio di trasporto pubblico urbano. La Corte di Appello aveva dichiarato la nullità del “procedimento” disciplinare per violazione dell’art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), in quanto il procedimento disciplinare e la conseguente sanzione, erano stati esercitati dal datore di lavoro ormai privato di tale facoltà in conseguenza dell’obbligatoria devoluzione della decisione in capo al Consiglio di Disciplina previsto per il settore specifico. Di contro però la Corte di Appello ha escluso la nullità del “licenziamento”, in quanto non rientrante tra i casi espressi di cui all’art. 2 comma 1, D.Lgs. 23/2015.
L’Incostituzionalità del termine “espressamente”
Questa sentenza ridefinisce i canoni interpretativi del termine “espressamente” contenuto nell’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, che riguarda le disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti ed in particolare ai casi di reintegrazione per nullità di licenziamento discriminatorio o “riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge”. La Corte ha ritenuto che la delimitazione della tutela reintegratoria ai soli casi di nullità prevista “espressamente” si ponga in contrasto con la norma della legge delega. Infatti, la Corte rileva la violazione del criterio di delega fissato dall’art. 1, comma 7, lettera c), della legge n. 183 del 2014 che riconosceva a tutela reintegratoria nei casi di “licenziamenti nulli”, senza operare una distinzione tra casi di nullità espressa o meno. Il D.Lgs. 23/2015, invece, introducendo questa forma di chiarificazione, ma anche di limitazione, ha dato un chiaro indirizzo interpretativo che è stato ritenuto dalla Consulta in violazione dell’art. 76 della Costituzione.
La decisione, nel suo impatto pratico per gli operatori di diritto, comporta un ampliamento della tutela dei lavoratori, ma di contro introduce o riporta in essere una nuova complessità interpretativa che riporta una incertezza nell’applicazione della normativa. L’allargamento della tutela reintegratoria avrà un impatto economico sulle imprese, specialmente in termini di costi legati alle reintegrazioni (ed alle tempistiche con cui queste possono intervenire a seguito di lunghi processi), nonché di incertezza in termini cessazione del rapporto di lavoro. Tale modifica porterà ad un nuovo aumento di controversie con dibattiti interpretativi tra le parti coinvolte.
In conclusione, la Sentenza della Corte Costituzionale n. 22 del 22 febbraio 2024 segna un importante modifica migliorativa della protezione dei diritti dei lavoratori, però di contro, riapre un annoso confronto sulla certezza del diritto di fronte al bilanciamento tra gli interessi delle aziende di far fronte alla certezza e sostenibilità economica delle attività e delle eventuali attività di ristrutturazione e dall’altro la corretta applicabilità della tutela dei lavoratori.